La Mostarda Cremonese
Carla Bertinelli Spotti, Ambrogio Saronni
Le Illustrazioni sono di Franco Cimardi
La mostarda di Cremona con frutta candita a senape, giunta probabilmente in città con i Visconti, è già nota nell’Europa del Seicento e si serve in piccoli piatti assieme ad arrosti, pescecane bollito, tonno al burro.
Nel Settecento Il cuoco reale cittadino di Massialot ricorda la mostarda di Cremona tra «le vivande all’italiana di ottimo e ultimo gusto».
Nell’Ottocento Francesco Cherubini nel Vocabolario Milanese-Italiano ne dà questa definizione: «La confezione che si fabbrica a Cremona o secondo il metodo dei Cremonesi (…) noi abbiamo per la più squisita».
Anche altri illustri personaggi la trovano ottima. Giuseppe Verdi la invia in dono agli amici:
cosa vi può essere di bello e di buono a Cremona (…) i torroni, la mostarda ed il Torrazzo;
Giuseppe Garibaldi la riceve da un amico cremonese e lo ringrazia inviandogli del miele da Caprera.
Nel Novecento una turista inglese la assaggia insieme ai bolliti in un locale cittadino e al colmo dell’entusiasmo la descrive in un suo libro come un incantevole insieme di pietre preziose i cui colori sono paragonabili a quelli usati dal Veronese per i suoi quadri; frutti canditi luminosi, trasparenti come gemme, ciliegie come coralli, pere dai semi brillanti come onice, fichi come smeraldi, albicocche come topazi.
Insomma una vivacissima natura morta.