Terra inadatta per l’eccessiva umidità a produrre prosciutti, il cremonese ha legato il suo nome ad un prodotto ormai noto e consumato in tutto il territorio nazionale: il cotechino.
Questo insaccato prelibato, ornamento dei cenoni invernali, è fatto con un impasto di carne magra, grasso e cotenne in proporzione di 1/3 ciascuno.
Le cotenne, pestate e ridotte in poltiglia, danno al cotechino la particolare consistenza gelatinosa e legata che è estremamente grata al palato.
Insaccato in budello di suino, asciugato al fuoco di bracieri per due giorni, dopo circa un mese di stagionatura il cotechino è pronto.
Questa produzione tipica viene ancora eseguita in loco per gli esigenti palati cremonesi secondo tutti i dettami della lavorazione tradizionale: dall’ingrasso o finissaggio del maiale con pastoni di crusca, siero e granturco, alla confezione casalinga del cotechino sotto la guida del maestro «masaler». Un tempo il cotechino cremonese si distingueva anche per l’aggiunta dell’aroma di vaniglia, usanza oggi caduta in disuso.
Se il rispetto della tradizione garantisce il massimo in fatto di sapore e profumo, bisogna dire che l’industria sa fornire prodotti di ottimo livello, sia crudi che precotti, per venire incontro alle esigenze di tempo che tanto assillano il moderno consumatore.
Come si gusti il cotechino non ha bisogno di spiegazioni; può essere utile invece tenere a mente alcune semplici norme per cucinarlo a regola d’arte: prima della cottura il cotechino va tenuto in acqua fredda per una notte, poi, avvolto in un panno, va bollito molto lentamente per 5 o 6 ore.